Il caldo uccide in silenzio: abbandonati gli anziani, dimenticati i fragili

Conquiste del Lavoro – Anno 2025 – Sabato 19 Luglio
In Italia, ogni estate, il caldo non è solo una condizione climatica, ma un nemico silenzioso che colpisce chi ha meno voce per difendersi: gli anziani. Sono loro, spesso soli, fragili, invisibili nella routine delle città, a pagare il prezzo più alto durante le ondate di calore estremo. Eppure, nonostante piani, bollettini e raccomandazioni, la risposta resta troppo spesso frammentata, disomogenea, e – cosa ancora più grave – indifferente. Il caldo estremo è una minaccia reale, amplificata dal cambiamento climatico e aggravata dalla solitudine. Lo ricorda con forza la Società Italiana di Igiene (SItI), che sottolinea la necessità di rafforzare le reti territoriali e la sorveglianza attiva, specie verso chi vive da solo. Una categoria che, nelle statistiche, ha un volto ricorrente: l’anziano che non esce, non chiama, non chiede aiuto. Si chiude in casa – spesso al buio e senz’aria – per “non disturbare”, per “non pesare”. Ma la realtà è che questa solitudine può essere letale. Non basta l’attivazione dei Piani Caldo, né la pubblicazione di bollettini o l’invio di sms di allerta. Serve una società che si faccia prossima, che non lasci sole le persone nei momenti più critici dell’anno. Servono occhi nei quartieri, mani che bussano alle porte, orecchie che ascoltano. Serve il volontariato, ma anche e soprattutto una responsabilità collettiva. Un’etica pubblica che imponga di non dimenticare nessuno, specie chi non ha più la forza di chiedere. Francesco Vaia, già direttore della Prevenzione al Ministero della Salute e oggi componente dell’Autorità garante per le persone con disabilità, lancia un monito amaro ma lucido: “La fragilità non va in vacanza”. Le ondate di calore non devono sorprenderci più. Le sappiamo prevedere, monitorare, contrastare. E allora perché ogni anno si contano morti evitabili? Vaia aveva proposto il “Codice calore”, un percorso sanitario dedicato nei pronto soccorso per gli anziani e i disabili nei momenti più caldi dell’estate. Un’idea che oggi più che mai andrebbe potenziata, resa strutturale. E insieme a questa, servirebbe un’alleanza civica, un piano di prevenzione che vada oltre l’urgenza e diventi parte della normalità. Dal 2003 – anno della terribile ondata che provocò oltre 20.000 morti in Europa – molto è stato fatto sul piano tecnico: sistemi di sorveglianza (come il SiSMG), reti tra ASL, Comuni e Terzo Settore, farmacie sentinella e monitoraggi telefonici. Ma l’elemento che manca resta quello umano: la presenza, la cura, la vigilanza morale. L’Italia ha gli strumenti, ma non sempre li usa. Il rischio, oggi, è quello di costruire una società ipertecnologica ma emotivamente desertificata, dove ci si ricorda dei fragili solo nei giorni di emergenza. Dove si parla di prevenzione, ma si agisce solo a disastro avvenuto. Dove l’anziano, da pilastro della memoria collettiva, diventa un peso da gestire. E allora, la domanda che Vaia rilancia diventa anche la nostra: che società stiamo costruendo, se lasciamo morire di caldo chi ci ha cresciuto? È il momento di voltare pagina. Non bastano le raccomandazioni a idratarsi o restare all’ombra. Serve una riflessione morale collettiva: l’indifferenza è corresponsabilità. Ogni porta chiusa, ogni chiamata non fatta, ogni anziano dimenticato è una ferita nel tessuto sociale. Se non lo capiamo oggi, lo pagheremo domani. Perché il caldo, come la solitudine, non fa rumore. Ma uccide.