Ribaltare la tavola: l’Anthrofood2050 lancia da Milano la rivoluzione dei sistemi alimentari

Conquiste del Lavoro – Anno 2025 – Sabato 26 Luglio
Nella cornice dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, il 1-2 luglio un gruppo di antropologi del cibo provenienti da tutto il mondo ha acceso i riflettori su un futuro alimentare sempre più incerto. Il network dell’European Association of Social Anthropologists (EASA) ha riunito ricercatori di Oxford, CNRS, Brooklyn College, Örebro, Institut Lyfe, UWE, Aarhus e Pollenzo per un obiettivo comune: tracciare una rotta che porti i sistemi agroalimentari fuori dalla tempesta fatta di crisi climatica, disuguaglianze e sprechi. Il punto di partenza è semplice quanto sconfortante. Il climate change corrode la sicurezza alimentare: prolungate siccità divorano i raccolti, mari e oceani si svuotano di pesce, e le comunità rurali ne pagano il prezzo più alto. A peggiorare il quadro c’è l’asimmetria nell’accesso al cibo: mentre una minoranza può permettersi di sprecarlo, centinaia di milioni di persone restano sottonutrite. Ridurre il cibo a pura merce – hanno ribadito i relatori – significa ignorarne la dimensione culturale, simbolica ed etica che lo rende collante sociale e motore di equità. Per la prima volta, i partecipanti hanno deciso di condensare competenze e risultati di ricerca in un documento programmatico: il Manifesto Anthro-Food2050, in uscita a ottobre. Non un semplice report, ma un’agenda operativa destinata a ricercatori, agricoltori, consumatori e decisori politici. Il testo approfondirà le radici della crisi – dal modello estrattivo dell’agro-industria alle logiche speculative dei mercati – e proporrà un cambio di paradigma basato su quattro pilastri: giustizia alimentare, rigenerazione ecologica, valorizzazione delle conoscenze locali e benessere comunitario. Al centro, la rigenerazione: non basta più “fare meno danno”, bisogna restituire vitalità agli ecosistemi, promuovendo pratiche agricole che ricostruiscano suoli, biodiversità e reti sociali. Significa sostenere contadini che adottano rotazioni colturali, allevamenti estensivi, filiere corte e prezzi equi; ma anche rivalutare il patrimonio gastronomico come sapere vivo, aperto a contaminazioni e innovazioni. Il workshop ha dato spazio a sessioni parallele su sovranità alimentare, politiche urbane del cibo, migrazioni e patrimonio culinario. Dalle testimonianze raccolte emerge un filo rosso: la tecnologia e il mercato, da soli, non basteranno. Servono lenti antropologiche per leggere le relazioni tra persone, ambiente e culture, “perché il cibo”, ricorda la ricercatrice statunitense Jillian Cavanaugh, “è sentimento prima che carburante”. L’esito della due giorni è chiaro: occorre “ribaltare la tavola”, ridefinire ciò che coltiviamo, come lo distribuiamo e a chi garantiamo l’accesso. Il Manifesto AnthroFood2050 si propone come bussola per orientare governi, aziende e cittadini verso sistemi alimentari più resilienti, inclusivi e rigenerativi. Siamo a un bivio in cui possiamo ancora sperare in un mondo migliore. Entro il 2050, c’è ben più della nostra dieta: c’è la vivibilità stessa del pianeta.