Curarsi non dovrebbe essere un privilegio: il prezzo amaro della povertà sanitaria

Conquiste del Lavoro – Anno 2025 – Sabato 24 Maggio
In Italia, oltre 4,5 milioni di persone hanno rinunciato a curarsi. Di queste, 2,5 milioni lo hanno fatto per motivi economici. È il dato più allarmante contenuto nel Rapporto BES 2023 dell’Istat, che racconta una realtà sempre più difficile da ignorare: la salute non è più per tutti. O meglio, non lo è più allo stesso modo. Un dato su tutti: il 23,1% della popolazione italiana è a rischio di povertà o esclusione sociale. E quando la povertà entra nelle case, spesso si porta via anche la possibilità di curarsi. La sanità pubblica, nata per garantire equità e diritti, oggi fatica a reggere il peso di milioni di richieste e risorse sempre più limitate. I cittadini più fragili, in particolare nel Sud e tra le famiglie numerose o straniere, devono scegliere tra pagare una visita o fare la spesa. La cosiddetta “povertà sanitaria” non è solo un problema di soldi. È anche un problema geografico, culturale, organizzativo. In alcune aree del Paese, accedere a una prestazione pubblica è diventato un percorso a ostacoli. Nel frattempo, cresce la spesa “out of pocket”, cioè quella sostenuta direttamente dalle famiglie per curarsi nel privato. Una cifra enorme: oltre 40 miliardi di euro l’anno. Anche i dati del Banco Farmaceutico confermano la tendenza: tra il 2023 e il 2024 è aumentato dell’8,4% il numero di persone che ha chiesto farmaci gratuiti. E non parliamo solo di anziani o disoccupati: il 58% di chi rinuncia alle cure ha tra i 18 e i 64 anni, ovvero è in piena età lavorativa. Anche le liste d’attesa scoraggiano milioni di italiani: erano 1,5 milioni nel 2019 le persone che hanno rinunciato a curarsi per tempi troppo lunghi; oggi sono 3 milioni, quasi il doppio. Nel DEF 2024, il Governo prevede un aumento della spesa sanitaria fino a 151,6 miliardi nel 2027, rispetto ai 138 miliardi attuali. Ma il rapporto spesa sanitaria/PIL resterà fermo al 6,4%, considerato insufficiente per un Paese con un’alta percentuale di anziani e malati cronici. Intanto, la speranza di vita in buona salute è calata: da 60,1 anni nel 2022 a 59,2 anni nel 2023. Come si esce da questo scenario? Secondo Stefano Zamagni, docente di Economia civile, serve una nuova alleanza tra pubblico, privato e Terzo settore, basata sul principio di sussidiarietà circolare. Nel frattempo, chi non ha soldi o vive in alcune Regioni rischia di restare senza risposte. Il monitoraggio del Ministero della Salute sui Lea evidenzia che otto Regioni – tra cui Sicilia, Calabria, Molise, Abruzzo, non garantiscono tutte le prestazioni sanitarie fondamentali. Così i cittadini si spostano: la mobilità sanitaria ha superato i 5 miliardi di euro l’anno. Ma chi non può permettersi di partire, resta indietro. E si ammala di più. La povertà sanitaria non è un effetto collaterale del sistema, ma un fallimento silenzioso. E finché curarsi resterà un privilegio, a pagare non sarà solo chi non ce la fa, ma tutta la collettività.